Cose che ogni tanto succedono a lavoro. Che sembra di averle già sentite in tv, raccontate da qualche comico. Poi ti accorgi che succedono davvero e cominci a riflettere su tante cose. La prima cosa su cui cominci a riflettere sono gli specchi. Riflettendo sugli specchi, viene voglia di mettere due specchi uno di fronte all'altro e ti accorgi che le riflessioni si moltiplicano esponenzialmente. Anzi, tendono all'infinito. Quindi, rifletti sull'infinito. Cerchi di dare una forma all'infinito, inclini la testa di 90° sull'asse ortogonale all'asse dello specchio e vedi un 8. Pensi al gioco dell'Otto, ma subito ti rendi conto di aver pensato una ca**ata, perché il gioco è "del Lotto", non "dell'Otto".
Scusate, vado un attimo a rileggere da capo il messaggio perché ho perso il filo. Ah! Ecco! Il filo!
Vi stavo raccontando una cosa che mi è capitata a lavoro. Anzi, tecnicamente non l'ho ancora raccontata, quindi è più corretto dire "vi stavo per raccontare una cosa che mi è capitata a lavoro".
-Fine primo tempo-
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(Altri passaggi pubblicitari fino ad arrivare a circa 7 minuti, ma mi sono rotto di premere 'SHIFT+INS', spostarmi con le frecce, inventare un numero multiplo di 5 e inserirlo manualmente. Abbiate pazienza!)
-Secondo tempo-
Vi stavo per raccontare una cosa che mi è successa a lavoro. Oggi mi trovavo a lavoro (scusate il gioco di parole con la parola lavoro: è solo un gioco, non era fuoco) e c'era un ragazzotto, penso sui 15 anni, figlio del cliente. Il ragazzotto faceva entra ed esci da alcune camere situate al piano dove mi trovavo io. Ogni volta che entrava/usciva per recarsi nelle altre zone della casa, era costretto a passare davanti alla porta della stanza dove stavo lavorando.
In uno di questi passaggi, si ferma e mi chiede se la corrente è ancora staccata. Rispondo affermativamente e gli dico che ci vorrà ancora almeno un'oretta prima di riattivarla. Mi ringrazia, molto educatamente, e se ne va per i fatti suoi.
Cinque minuti dopo torna con la stessa domanda. "Boh." -penso fra me- e gli rispondo esattamente come pochi minuti prima. Mi ringrazia, sempre con molta educazione, e se ne va per i fatti suoi.
Passano una ventina di minuti e il ragazzotto torna, con la solita domanda. Siccome la mia essenza è fatta della stessa materia di cui sono fatte le risposte standard, gli rispondo nuovamente che ci vorrà ancora almeno un'oretta prima di riattivarla. Ancora una volta ringrazia, molto educatamente e se ne torna in una delle sue camere. Pochi minuti dopo ("pochi minuti", secondo la definizione della Treccani, che mi sono appena inventato, significa non meno di 5 e non più di 15), torna e ri-chiede. La materia di cui sono fatto comincia a cambiare (nella forma e nel colore, è in trasformazione), ma la mia risposta resta uguale. Ringrazia, l'educazione ormai si spreca, e se ne torna in una delle sue camere. Penso qualcosa fra me. Ho una via di mezzo fra una sensazione e un'altra sensazione, simile ma diversa. Forse un dubbio, anche se ne dubito. Boh.
Mentre ero ancora li a dubitare, dal piano inferiore giunge una voce (frequenza stimata intorno ai 550Hz): "Ragazziiiiiiiii! A taaaaavoooolaaaaaaaaaa!!
"Ragazzi? Ragazzi chi? Vuoi vedere che ci ospitano a pranzo? Ma no, non può essere, mica siamo ragazzi noi" -penso fra me- iniettando ulteriori dubbi nella materia di cui sono fatto, che all'ora di pranzo è la stessa di cui è fatta la fame.
Nel giro di pochi secondi il ragazzotto esce dalla camera in cui era rifugiato e si fionda verso le scale: evidentemente l'idea di pranzare ha prevalso rispetto a quella di guardarsi i pornazzi al computer. Pochi secondi dopo (cfr. poche righe sopra, definizione inventata relativa ai minuti), il ragazzotto esce dalla camera in cui era rifugiato e si fionda verso le scale: evidentemente l'idea di pranzare ha prevalso rispetto a... a... a?
Insomma, i ragazzotti in realtà erano due. Ovviamente (col senno di poi...) sono gemelli. Com'è possibile? Voglio dire: pure io sono gemelli, eppure sono uno solo. Boh.